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Cronaca di un’esperienza indimenticabile: la mia partecipazione ai Giochi matematici nazionali della “Università Bocconi” di Milano.

di Andrea Maggi classe I B, Sc. Sec. 1° gr

 

Il 13 Maggio faceva particolarmente caldo a Milano: dopo essere stati, tra l'altro, in tram, in metropolitana, di nuovo in tram e aver fatto una parte del tragitto a piedi, eravamo tutti molto sudati (io, mio fratello e i miei genitori), ma stranamente avevamo ancora tutti indosso le giacche, o gli smanicati nel caso mio e di Daniele. La strada per l'Università Bocconi, o meglio la parte che abbiamo fatto a piedi (perché Milano è molto grande) era piena di alberi ed era molto ombrata. L'edificio in sé, infatti, non l'avevo riconosciuto: gli alberi coprivano il nome “UNIVERSITÀ BOCCONI”, e anche solo da pochi metri era difficile da leggere.

Non ero affatto nervoso, anche se in molti al posto mio lo sarebbero stati: ero felice di essere arrivato fin lì, ed ero eccitato all'idea di poter vedere la famosa Università Bocconi che forma in Italia menti eccelse.

Eravamo già entrati, il giorno prima, per vedere il percorso che avremmo dovuto fare, ma allora l'edificio era quasi deserto, e avevamo solo dato un'occhiata in giro. Inoltre, nell'ingresso c'era solo un grande cartellone, con le aule in cui si sarebbe svolta la gara, e un pianoforte a coda, che avevo notato subito e, siccome mi piace molto come strumento e lo so suonare molto bene, già iniziavo a sognare di essere seduto lì a pigiare i tasti. Effettivamente, in quel momento mi resi conto che era da giovedì pomeriggio, prima di partire, che non suonavo e quando camminavamo per fare un giro muovevo le dita nell'aria come se avessi una tastiera davanti. Quel sabato, però, il giorno della gara, c'era tantissima gente: eravamo circa duemila a partecipare, più genitori o accompagnatori per ciascuno, viene fuori un bel numero. Lo spazio era troppo piccolo per tutte quelle persone, e la folla era tale che si sudava e non ci si riusciva a muovere facilmente. Mi accorsi subito, mentre con mia madre ci avviavamo verso lo stand per acquistare qualche ricordino, che qualcuno stava suonando il pianoforte, e continuai a guardare in quella direzione, anche se dalla mia posizione non si capiva chi fosse seduto lì. Nel frattempo iniziammo a dare un'occhiata alle magliette che erano esposte, per decidere quale comprare, e poi mamma mi ricordò di prendere una penna da donare alla mia maestra delle elementari e al mio professore di matematica. Non avevo guardato affatto i libri che avrei potuto comprare, ma alla fine nella busta finì anche un libro intitolato “MATEMUSICA”. Allora andammo a guardare vicino al pianoforte; sembrava che potesse suonare chiunque... per mia fortuna! Devo ammettere che il pianoforte a coda è un po' più difficile da suonare, perché bisogna premere i tasti più forte, ma i brani vengono molto meglio di come possono venire con una tastiera elettrica. Comunque quello era l'edificio principale: noi ci dovevamo avviare verso un altro palazzo poco distante. Nel frattempo si era fatto mezzogiorno e, purtroppo, la fame si faceva sentire, un po' per la camminata sotto al sole, un po' perché eravamo passati davanti a un chioschetto che preparava i panini. Entrammo nell'edificio, infatti, chiedendo insistentemente a mamma e papà di mangiare. Guardammo un po' dove si trovava la mia aula, la numero ventitré, anche se nessuno, compresi gli altri partecipanti, riusciva a capirlo perché erano numerate con 2-1, 2-2, 2-3, invece di 21, 22, 23. In quel momento però non mi interessava molto: avevamo camminato parecchio ed ero stanco e affamato, come ho già detto. Quando poi andammo alla mensa della Bocconi, guardando il cibo mi rianimai un po' e iniziai a pensare cosa avrei fatto se avessi vinto, anche se sapevo che era molto improbabile. Nel momento in cui iniziai a mangiare però dimenticai tutto, e mangiai voracemente i ravioli conditi con burro e salvia (deliziosi), la cotoletta milanese e l'arista (buonissima), nonostante mia madre mi invitasse a mangiare poco.

Finito di mangiare, ci apprestammo ad entrare nell’aula prefissata: in quel momento ho finalmente realizzato che avrei preso parte alla “Finale Nazionale dei Campionati di Giochi Matematici!”

Sapevo che era il primo anno che la mia scuola, la “Calò” di Ginosa, partecipava a questa iniziativa, quindi essere arrivati fin là la prima volta era un onore per la scuola, e io mi sentivo l'orgoglio! D'altronde, ero abbastanza sicuro di avere qualche possibilità di farle tutte giuste, ma ancora non sapevo che problemi ci sarebbero stati sulla scheda. Certo, se uno si allena, le schede sono molto facili in confronto agli allenamenti. Entrare nell'aula fu un po' difficile: la folla era tale che non si poteva fare un passo e non si riusciva a sentire molto. Ero ansioso di sentire il mio nome: l'elenco inoltre non era in perfetto ordine alfabetico, quindi non sapevo quando aspettarmi di sentirmi nominare. Comunque, dopo un po' entrai, notando che in Lombardia sono molti quelli che come cognome hanno Lombardi. L'aula era la tipica aula universitaria che si può vedere nei film: a scalinate, con i banchi curvi, tutti uniti, e con lunghe panche al posto delle singole sedie. La scheda venne consegnata dopo qualche minuto, e mi accorsi subito che i primi problemi erano facilissimi: purtroppo, però, il 9 necessitava della conoscenza di un argomento che ancora non era stato affrontato a scuola, e il 10 richiedeva un po' più di tempo. Ora, solo ora, mi rendo conto della grande fregatura: i primi otto quesiti li ho risolti in un quarto d'ora, ma il 9 risultava piuttosto complesso, per cui ho impiegato parecchio tempo. Le formule, infatti, sono difficili da comprendere, perché davanti a una parentesi il segno del per non viene inserito. Quindi la formula n(3n+1) corrisponde a n x(3n+1). Non credo che in molti abbiano capito cosa vuol dire quel groviglio di numeri e simboli, ma si nota facilmente la differenza nella scrittura della prima e della seconda, che significano però la stessa cosa. Il problema numero 10, invece, dovevo solo ragionarci un po' su, ed è stato facile da risolvere, alla fine. Mi sono sentito molto eccitato quando abbiamo corretto i problemi: eravamo tantissimi ragazzi e sapevo di avere poche possibilità di vincere, ma ero sicuro di averne fatti giusti almeno 9, e continuavo a tenere le dita incrociate sperando che anche quello che avevo timore di aver sbagliato fosse giusto. A correggere i problemi è stato Giorgio Dendi, uno degli allenatori della squadra italiana. I problemi li avevo risolti correttamente quasi tutti effettivamente, e il risultato era proprio 9 su 10.

 Con mia grande delusione, non ero tra i primi 150 (anche se a breve avremo la classifica definitiva perché i professori stanno ricorreggendo le schede), ma iniziai a guardare il lato positivo di questa eccitante esperienza: figuriamoci se avessi vinto, avrei dovuto continuare ad allenarmi tutti i pomeriggi! La cosa che mi ha stupito, però, è che parecchi ragazzi avevano la “erre moscia”, come me: probabilmente è un difetto dei grandi matematici! Fui comunque felice, era un orgoglio essere arrivati fin lì, e poi... finalmente avevo qualcosa di cui vantarmi!

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