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di Jennifer Virone

Una leggenda di Alphonse Daudet racconta di un bambino nato con il cervello d’oro, così grande e pesante che i medici non credevano potesse sopravvivere alla nascita. Il bambino invece crebbe in salute e senza problemi, nonostante il peso della sua testa. Nessuno si accorse del suo cervello finché un giorno, mentre camminava, rotolò giù da una scalinata e sbatté la fronte contro un gradino: il suo cranio risuonò come un lingotto e dalla ferita emersero gocce d’oro raggrumato. Così i genitori, fino a quel momento ignari, vennero a sapere che il loro bambino aveva un cervello d’oro. Provarono a proteggerlo nascondendogli quanto scoperto e solo alla maggiore età gli svelarono la verità sul suo “tesoro”. La leggenda racconta di come il bambino, ora uomo, viene inebriato dalla notizia e non riesce, fino alla fine, ad utilizzare il suo cervello al meglio. Prima sperpera oro ovunque, poi, impaurito dalla possibilità di perdere tutto, inizia a vivere in modo ritirato, sospettoso e timoroso, con lo scopo di dimenticare quelle ricchezze che non vuole più intaccare. Alla fine del racconto l’uomo verrà derubato e si farà derubare, travolto dalle emozioni, fino ad esaurire il suo meraviglioso cervello.

Se proviamo ad interpretare questa leggenda utilizzando una specifica chiave di lettura, quella della plusdotazione, possiamo pensare che il racconto ci stia parlando delle grandi potenzialità che ha un bambino plusdotato, ma anche dei pericoli che può correre se non impara ad utilizzarle. Ciò che penalizza maggiormente il protagonista della leggenda sembra avere a che fare con le sue emozioni che, travolgenti e allo stesso tempo tiranniche, condizionano i suoi comportamenti senza che lui se ne renda pienamente conto. L’euforia, il timore, la compiacenza, la disperazione. L’uomo dal cervello d’oro finisce per soffrire a causa di ciò che all’inizio lo arricchiva.

È una storia che ci aiuta a riflettere su due livelli:

– Così come succede per i genitori del bambino dal cervello d’oro, a volte, per accorgersi dell’ “oro nascosto”, servono le cadute, le criticità, le sofferenze, poiché queste ci aiutano a riflettere e a non dare per scontato il modo di essere di un bambino;

– Un bambino plusdotato ha bisogno di essere aiutato a capire la ricchezza e allo stesso tempo la delicatezza del suo potenziale, proprio perché prima che un plusdotato, egli è un bambino come tutti gli altri, con un mondo emozionale immaturo e da scoprire.

Può accadere invece che l’oro “accechi” e non consenta di rendersi conto che l’emotività è un mondo a parte, con tempi diversi rispetto allo sviluppo cognitivo, quindi poco comprensibile a chi guarda la performance e ancora meno al bambino stesso. È importante aiutare questi bambini a trovare un modo per esprimere le proprie emozioni, senza che queste siano vissute come insopportabili o incomprensibili. Come aiutarli allora a viverle e comprenderle senza che ne siano turbati? Un modo molto efficace per favorire l’espressione emotiva, allentando il conflitto che può generare, è l’utilizzo della creatività. Essa, basata sulla flessibilità e l’originalità, può essere una risorsa già presente nei bambini plusdotati. Sono infatti bambini che molto spesso hanno una fervida immaginazione, sono molto curiosi, amano trovare soluzioni nuove e anticonformiste a problemi complessi. Si tratta quindi di aiutarli ad utilizzare una risorsa che già possiedono, per poter esprimere meglio ciò che provano. La creatività diventa lo strumento di mediazione tra sé e il mondo esterno, che consente di giocare con i propri vissuti senza doversi assumere la responsabilità di comunicarli verbalmente. Diventa quindi uno strumento di interazione, forse anche più potente della parola, perché consente di utilizzare simboli e immagini più diretti ed espressivi. Molto spesso i bambini plusdotati provano emozioni a cui non sanno dare un nome, rischiando di non essere compresi da chi si rapporta con loro. Non riuscendo a comunicare i propri vissuti, può accadere che questi bambini si servano in modo privilegiato dell’azione per risolvere i problemi e allentare le tensioni. Ecco allora che li vediamo buttarsi per terra, piangere, urlare, o al contrario chiudersi a riccio: utilizzano il comportamento per comunicare all’altro il loro mondo emozionale. Il rischio è che sperimentino questa strategia come l’unica possibile, utilizzandola anche in futuro, quando con la crescita il confronto con l’esterno sollecita sempre più le frustrazioni. L’azione diventa così un modo personale per esprimere se stessi. In che senso la creatività può rappresentare una strategia alternativa? Si tratta di proporre l’arte come un particolare tipo di azione, quella creativa, che consente di mettere in scena ciò che si sente, canalizzandolo però in modo produttivo e non disfunzionale. Offre cioè uno spazio protetto in cui poter esprimere angosce, desideri, frustrazioni e conflitti.

Una strategia attraverso possiamo aiutare un bambino a confrontarsi con le proprie emozioni è quella della scrittura creativa, il cui presupposto è che scrivere le proprie emozioni su un foglio:

– aiuti a riconoscerle e a dare loro importanza;

– consenta di distinguerle, descriverle e associarle a situazioni concrete;

– faccia riflettere su come un’emozione connessa ad un evento possa trasformarsi in un’altra, come ad esempio la rabbia possa trasformarsi in tristezza.

Può essere utile invitare il bambino a raccontare per iscritto situazioni piacevoli o spiacevoli che lo hanno riguardato, provando in un secondo momento a collegarle a specifici stati d’animo. Si può giocare, in questo processo di scrittura, a immaginare una situazione caratterizzata da un’emozione diversa rispetto a quella provata, per imparare a familiarizzare con emozioni differenti e talvolta contrastanti tra loro. Facciamo un esempio: se un bambino ha vissuto in classe sentimenti spiacevoli, perché la maestra lo ha ripreso, gli si può chiedere di raccontare, come una sorta di diario, cosa sia accaduto. In seguito si potrà chiedere al bambino di ipotizzare se in quella situazione spiacevole si sia sentito triste, arrabbiato, impaurito. Identificata l’emozione, si possono inventare storie parallele, con situazioni analoghe a quella raccontata, ma caratterizzate da emozioni diverse. Cosa sarebbe successo se il nostro bambino, anziché sentirsi arrabbiato, si fosse sentito triste? Avrebbe reagito allo stesso modo? Queste sollecitazioni aiutano a differenziare ciò che spesso viene vissuto in modo generico come agitazione o fastidio e a cui non si riesce a dare un nome. Allo stesso modo si può chiedere al bambino di inventare un finale in cui l’emozione sia, ad esempio, opposta alla rabbia, cercando di osservare come cambierebbe il racconto (Cosa sarebbe dovuto accadere per farlo sentire felice anziché arrabbiato?).

Per facilitare l’espressione delle emozioni ci si può servire anche di giornali, libri, film, disegni che il bambino può associare a come si sente e che può utilizzare come strumento di comunicazione con l’adulto di riferimento per esprimere cosa prova. A partire da questa espressione simbolica, il nostro plusdotato potrà imparare a tirare fuori sentimenti, paure, gioie e frustrazioni, potrà imparare ad accedere a quel mondo complesso e poco esplorato, di cui però ha grande sensibilità.

 

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