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Nel mezzo del cammin della mia vita, mi ritrovai in un luogo oscuro, come il cielo notturno, cupo e nero. Dalla scuola primaria fui scoccato come una freccia dall’arco, verso una meta che non mi era molto nota, estraneo per il me di tre anni fa. Non sapevo come chiamarlo, era un posto… come dire…. strano, molto diverso dall’ambiente della primaria.

Non appena fui buttato in quel luogo l’ansia incominciò a salirmi fin sulla schiena, le mani iniziarono a sudarmi, non riuscivo a connettere cervello e articolazioni, non riuscivo a dire una parola dalla paura. Non appena varcai però quel grigio e imponente cancello, chiamata “entrata principale”, l’ansia svanì, anche perché iniziai a sentirmi come a casa, ma la paura no. Sapevo di aver intrapreso un percorso arduo, fatto di sfide, palle di fuoco, fiamme e inferno. Forse sto un pochetto esagerando, ma fu veramente così. Il primo anno fu un vero e proprio suicidio, non per i voti o per le amicizie, ma per la fatica che ho dovuto impiegare per passare l’anno. Dalle 2 pagine di storia che le maestre mi assegnavano alle elementari, sono passato alle 10 pagine da studiare, alle 2 poesie da analizzare, commentare, distruggere, ricostruire, capire, argomentare, parafrasare. Insomma un glow up che inizialmente non mi sarei aspettato. Se dovessi ringraziare la scuola media, la ringrazierei per essere riuscita a farmi capire veramente cosa significa “studiare”. Studiare significa impegnarsi, dare del proprio meglio, credere nelle proprie capacità, ma anche utilizzare molto tempo, forse troppo, abbandonare i propri hobby o le proprie passioni. Questa almeno è stata la mia concezione di “studiare” e “imparare”. 

Ma di studio ormai sono annegato, ora penso solo ad un'unica cosa: l’esame. Dopo tre anni di pene e torture finalmente sono arrivato alla fine di questo lungo cammino. Mi scende una lacrima solo a pensare che questa mia avventura sia quasi finita. Penso ancora a quei bei momenti passati durante le lezioni, le poche gite fatte (a causa del problema #AndràTuttoBene), agli attimi di amicizia e di odio, ai momenti di tristezza passati guardando film, leggendo libri, scoprendo le storie dei miei compagni, ma anche me stesso. Ecco, era proprio qui che volevo arrivare. Oltre a “tormento” e “martirio”, un’altra parola che ha caratterizzato questo lungo viaggio è stata “conversazione”. Infatti durante la scuola media sono riuscito a far svanire uno dei mie più grandi difetti (dopo l’ansia): la timidezza. 

Nel primo anno di scuola media non sapevo relazionarmi con gli altri, non sapevo organizzare un discorso durante le interrogazioni, in poche parole ero analfabeta. Ovviamente scherzo, avevo le capacità, ma non le sfruttavo a mio vantaggio. Mese dopo mese sono poi riuscito a mettere soggetto, verbo, complemento all’interno delle mie frasi. Iniziai ad amare parlare, far capire le mie sensazioni agli altri e i miei pensieri. Ora mancava soltanto saper conversare con i miei compagni. Per raggiungere questo obiettivo, mi è stata di aiuto una materia che la mia scuola ha aggiunto all’interno delle ore scolastiche ormai da un anno, un’ora di riflessione e di pensiero in cui ognuno di noi poteva relazionarsi, capirsi e dare opinioni su argomenti o parole su cui non ci soffermiamo molto. Sto parlando della P4C, cioè della philosophy for children. Inizialmente pensavo che questa materia sarebbe stata la solita rottura di zebedei, in cui dovevi parlare ore ed ore sempre della stessa cosa fino a farti scoppiare il cervello. Al contrario però si è rivelata una materia didattica molto elaborata, ben studiata e molto istruttiva per noi ragazzi perché ci ha aperto al mondo, al pensiero altrui e saper stare all’interno della società. In fin dei conti si è rivelata quella tra le materie scolastiche che amo di più. Secondo me questi sono stati i momenti più belli, perché in fin dei conti, scoprire, aumentare il proprio bagaglio culturale, elaborare pensieri, pensare e riflettere sono la cosa migliore che la società contemporanea (fatta di giovani che non hanno voglia di fare nulla dalla mattina alla sera e di scoprire ciò che sta succedendo intorno a loro) possa fare. 

Purtroppo il mio viaggio sta per terminare, la mia clessidra sta per  ridursi all’ultimo granello di sabbia. Le mie gesta rimarranno impresse nelle spesse mura di questa scuola, ma la mia anima l’abbandonerà per sempre, o almeno spero. Non posso dire che questi siano stati gli anni più fighi della mia vita, ho solo 13 anni e questo è solo l’inizio, una parte della mia storia, una storia ancora da scrivere e raccontare, ma che già ha un bellissimo incipit.

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