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Aldo Cazzullo, giornalista e scrittore piemontese,nel suo libro “Viva l’Italia”, edito da Mondadori, dedica un paragrafo all’ULTIMO FANTE della Grande Guerra. La memoria diretta del veterano Carlo Orelli, “un uomo piccolo e ossuto, di una cortesia d’altri tempi, felice che qualcuno si ricordasse di lui”, è stata rievocata dagli alunni della classe 4^B della scuola “G. Calò”, durante la cerimonia del IV Novembre  che celebra l’anniversario della fine vittoriosa della Prima Guerra Mondiale e la Giornata dedicata alle Forze Armate.

L’intervista/racconto è stata affidata alle voci dei rappresentanti di classe Alessandro (Aldo Cazzullo) e Francesca (Carlo Orelli).

 

ALESSANDRO. Nel 2003 mi misi alla ricerca dell’ultimo fante. Dagli archivi del Quirinale spuntò un elenco di nomi. Il più anziano era Carlo Orelli, stava per compiere 109 anni. Raccontava con una voce sottile e in una lingua ricercata e mi spiegava con pazienza che la guerra è molto diversa da come la immaginiamo.

FRANCESCA. Il cannone non fa: bum. Troppo lontano dal fronte. Il cannone fa piuttosto un brontolio, un rombo lontano poi un sibilo sempre più forte, più vicino. Il proiettile sta per arrivare. A volte non esplode subito. Altre volte non esplodemai.È la lotteria della morte. Un mio amico di Napoli si era sempre salvato proteggendosi dentro un tubo di cemento. Spuntavano solo le gambe. Centrate da una cannonata. È morto dissanguato.

ALESSANDRO. Orelli era lucidissimo, anche se non usciva di casa da anni: abitava al quarto piano senza ascensore; con l’aiuto di uno dei sei figli o dei nove nipoti avrebbe potuto scendere le scale, ma non aveva più la forza per risalirle. Mi racconta che durante la guerra un giorno erano usciti dai ricoveri in 330 ed erano tornati in 30.

FRANCESCA. Non so come mai a me non è toccata. La sera prima dell’attacco portavano in prima linea il liquore ma io non l’ho mai bevuto. Quella roba faceva passare la paura ma toglieva lucidità, dopo ti buttavi avanti urlando: “Savoia!”. E morivi.  Dall’altra parte urlavano “Hurrah!”, e morivano. Io avevo un altro modo per darmi coraggio. Non pensare a niente. Svuotare la testa. Non pensare mai alla casa, agli affetti, agli amori. Un giorno nelle retrovie incontrai mio fratello. Lo abbracciai. Non l’ho più pensato per tutto il tempo, e quando sono tornato a casa l’ho ritrovato: ferito ma vivo.

ALESSANDRO. Orelli teneva a chiarire che la guerra era orribile, ma nello stesso tempo giusta, o almeno ineluttabile.

FRANCESCA. Non era una guerra di conquista; era una guerra patriottica. E l’abbiamo fatta tutti senza amarla, ma senza far storie.

ALESSANDRO. Era stata la grande avventura della sua vita. La guerra per Carlo Orelli era una croce di ferro, esposta in una teca, accanto al diploma di cavaliere di Vittorio Veneto.

FRANCESCA. Dalla guerra non ho avuto nessun vantaggio. L’unica pensione che ricevo è quella dell’Atac. Ma non ho certo combattuto per un vantaggio, per nulla che non fosse il mio Paese. E a Trieste ci siamo arrivati. Poi il mio Paese, pian piano, si  è dimenticato di noi.  Un po’ lo capisco, è passato così tanto tempo.

ALESSANDRO. Il Presidente Ciampi gli scrisse, lo invitò al Quirinale, gli diede la medaglia d’oro. Altri giornali ripresero la sua storia. Un collega scrisse un libro su di lui. Soprattutto gli fecero l’ascensore, e lui poté riprendere a uscire di casa.

La nostra maestra ci ha spiegato che il generoso sacrificio dei tanti soldati che hanno dedicato la loro esistenza ad un ideale di uno Stato libero e democratico, deve far parte della memoria di ogni cittadino, anche della nostra. 

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